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Lavoro minorile e giovani NEET in Italia: due facce della stessa medaglia?
Lavoro minorile e giovani NEET in Italia: due facce della stessa medaglia?
di Anna Teselli *
immagine copertina

Siamo il Paese europeo con il più alto numero di giovani che non lavorano, né studiano, i cosiddetti NEET: circa il 16% dei giovani tra 15 e 24 anni. Siamo tra i Paesi europei con il tasso più elevato di dispersi: oltre il 13% di giovani tra i 18 e i 24 anni ha soltanto la licenza media, quindi non assolve l’obbligo scolastico fissato a 16 anni.

Siamo il Paese con una stima di circa 340.000 minori tra i 7 e i 15 anni con esperienze di lavoro illegale, cioè il 7% della popolazione in questa fascia di età, stando agli ultimi dati della ricerca di Save the Children. Anche nell’indagine di 10 anni fa, condotta dall’Associazione Bruno Trentin (oggi Fondazione Di Vittorio) con Save the Children, era stata rilevata una stima analoga. D’altra parte è dagli anni ’90 che la CGIL ha cominciato a occuparsi del fenomeno in modo sistematico e ha rilevato una quota di giovanissimi impegnati in attività di lavoro minorile sempre prossima ai 350.000-400.000 soggetti.

 
giovane ragazzo dall'aria triste seduto su uno pneumatico
 

Il nodo politico riguarda le istituzioni pubbliche che non hanno voluto dare visibilità a questo mondo sommerso, né dal punto di vista del riconoscimento della sua consistenza numerica – l’ultima indagine Istat risale a oltre 20 anni fa - né sul versante dell’attuazione di politiche pubbliche mirate. Come indicato anche dal CNEL, occorrerebbe implementare un Sistema di statistiche sul lavoro minorile che preveda indagini a valenza nazionale e a cadenza periodica. Questa assenza istituzionale, come dimostrano anche questi ultimi dati, ha contribuito al consolidamento di un fenomeno che non sembra voler diminuire negli anni e che rivela un disagio giovanile molto precoce.

In Italia non si tratta di cercare minori sfruttati nelle miniere, nella produzione di tappeti, come ci ha insegnato la storia di Iqbal Masih in Pakistan, bambino operaio e attivista, simbolo della lotta contro il lavoro minorile a livello internazionale. Si tratta di cercare giovanissimi commessi, camerieri, baristi, ‘aiutanti artigiani’, che nella maggior parte dei casi – come conferma l’indagine di Save the Children - lavorano per la famiglia, aiutando i genitori nelle loro attività professionali nel mondo delle piccole e piccolissime imprese a gestione familiare. Non pochi lavorano nella cerchia dei parenti e degli amici oppure per altre persone.

Il lavoro minorile è presente in tutto il Paese, ma non con uguale intensità: il rischio di una presenza di ragazzini al lavoro è molto alto nelle regioni del Sud, nelle periferie delle aree metropolitane, ma anche nelle zone cosiddette avanzate, ad esempio del nord est. Le esperienze di lavoro di questi giovanissimi vengono svolte prevalentemente in alcuni settori, come la ristorazione e il commercio. Di nuova rilevazione sono quelle attività legate al digitale, tutte da approfondire. C'è poi un'area particolarmente a rischio di sfruttamento: quei minori che lavorano di sera o di notte, o che svolgono un lavoro continuativo e che magari interrompono la scuola per lavorare. O per i quali il lavoro interferisce con lo studio, non lascia tempo per il divertimento con gli amici e per riposare, e che viene definito pericoloso.

Se si viene bocciati durante la scuola media salgono le probabilità che un minore si avvicini al lavoro precoce, analogo discorso vale per chi prende nel giudizio di licenza media soltanto la sufficienza. Lentamente l’idea di un futuro investito nel mondo del lavoro e non a scuola diventa il criterio che orienta la prospettiva di vita dei ragazzini che cominciano presto a lavorare. È da approfondire quindi il legame tra il lavoro minorile e quell'ampia fetta di giovani italiani NEET senza diploma e neanche una qualifica professionale, anomalia tutta italiana, che secondo l'Europa dovrebbe calare drasticamente. Se fosse stato ascoltato più di 10 anni fa il primo segnale di allarme lanciato sul lavoro minorile, forse non avremmo un numero così elevato di giovani NEET con bassi titoli di studio.

Continuare, quindi, a ignorare i dati sul lavoro minorile e i singoli percorsi di vita che dietro a questi numeri si celano, denuncia ancora una volta la sostanziale indifferenza in cui le nostre politiche pubbliche relegano i giovani. Non basta, come si fa nel PNRR, dichiarare i giovani un target trasversale del Piano. Occorre modificare la narrativa sui giovani nel dibattito pubblico, per dar loro un’efficace centralità nelle politiche e negli interventi dei prossimi anni: non sono i giovani il problema del nostro Paese, quanto il fatto che le condizioni di contesto li releghino troppo spesso in condizioni di fragilità sociale, vulnerabilità e precarietà lavorativa, scarsa rappresentatività e partecipazione alla vita del Paese. In Italia, dove per effetto delle curve demografiche attuali e future i giovani sono e rimarranno pochi, serve utilizzare appieno le ingenti risorse che anche l’Europa sta mettendo a disposizione per sostenere le nuove generazioni nel loro ruolo di leva per la crescita sostenibile e inclusiva del Paese.

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