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Non dovremmo consentire a tutti i giovani di aggrapparsi all’impossibile e all’improbabile?
Non dovremmo consentire a tutti i giovani di aggrapparsi all’impossibile e all’improbabile?
di Andrea Brandolini *
Non dovremmo consentire a tutti i giovani di aggrapparsi all’impossibile e all’improbabile?

Ho sempre considerato con un certo distacco gli indicatori soggettivi di benessere, memore dell’insegnamento del sociologo svedese Robert Erikson che gli obiettivi di una politica sociale devono basarsi sulle condizioni di vita effettive, non sul grado di soddisfazione che le persone dichiarano di provare per queste condizioni. È un’attitudine che ha un tratto paternalistico, poiché si rimanda la valutazione a un qualche criterio oggettivo definito dagli esperti o dai decisori politici. Serve però a scongiurare il rischio ben più grave di non affrontare situazioni che i più considererebbero di indigenza, ma che non sono riconosciute come tali da chi le vive per l’innato spirito di adattamento degli esseri umani. Come scrive Amartya Sen in La diseguaglianza, “coloro i quali vivono in situazioni di avversità e persistente deprivazione non vanno avanti lamentandosi e lagnandosi perennemente e possono perfino aver perduto la motivazione per desiderare un cambiamento radicale delle circostanze. In realtà, per costruire una strategia di vita, può senz’altro essere molto sensato scendere a patti con avversità ineliminabili, tentare di apprezzare brevi attimi di respiro, e resistere alla tentazione di aggrapparsi all’impossibile e all’improbabile”.

Ciò non significa che le percezioni che le persone hanno delle loro condizioni, le loro aspirazioni e le loro aspettative non siano importanti. Tutt’altro. Queste percezioni raccontano molto su come le condizioni di vita influenzino i loro comportamenti e le loro decisioni; offrono indicazioni importanti per il disegno delle politiche pubbliche. Il Rapporto di Save the Children Domani (im)possibili lo mostra con chiarezza, ponendo al centro dell’attenzione i ragazzi e le ragazze di 15-16 anni: giovani che sono ancora a scuola (o dovrebbero esserlo) ma sono in procinto di definire i propri percorsi di vita futura, che hanno già un’idea, per quanto vaga, di cosa vorrebbero essere da grandi. 

 

 

 

 

Colpisce lo scostamento tra le aspirazioni e le aspettative degli adolescenti in molte dimensioni importanti della vita. Considerando quella lavorativa, il 92% dei ragazzi pensa che sia importante avere un salario adeguato, ma solo il 70% conta di ottenerlo; l’84% desidera un lavoro dignitoso e non rischioso, ma solo il 61% ritiene che sarà in grado di trovarlo. Questo ridimensionamento delle aspirazioni dipende in misura decisiva dalle condizioni di vita correnti: la proporzione di chi teme di non riuscire a trovare un lavoro dignitoso è quasi doppia per chi vive in situazione di deprivazione rispetto a chi non ne soffre (67% rispetto a 36%). Nelle interviste agli adolescenti, ma anche ai docenti e agli operatori sociali, emerge il crudo realismo con cui le aspirazioni sono piegate dalle difficoltà quotidiane così come la consapevolezza con cui molti ragazzi si sforzano di aiutare i genitori, rinunciando ad alcune spese non indispensabili o svolgendo qualche lavoro – molti più di quanto ci si aspetterebbe in questa fascia di età, nota il rapporto.

 

 

 

 

Non ho scelto questi dati a caso, tra i molti presentati nella ricerca di Save the Children. Riguardano la dimensione lavorativa, una preoccupazione primaria per ogni decisore politico. Dal punto di vista squisitamente strumentale del buon funzionamento di una società in cui le coorti giovani si stanno progressivamente assottigliando, non è un buon segnale che molti adolescenti siano costretti dalle circostanze in cui vivono a ridimensionare le proprie aspirazioni. Non ci si può permettere che abilità e talenti rimangano inespressi. Né è rassicurante che il 37% degli adolescenti ambisca a vivere in un paese diverso dall’Italia. Dal punto di vista etico, non è invece accettabile che siano le circostanze “esterne” – le condizioni economiche della famiglia – a determinare le prospettive di vita di questi ragazzi, ancor più in quanto molti di loro mostrano di impegnarsi per contrastare le difficoltà in cui vivono. È incomprensibile che il dibattito pubblico sugli strumenti di sostegno alle persone in difficoltà economica sia così indifferente alla questione fondamentale di come le privazioni colpiscano il presente e il futuro di bambini e adolescenti.

Save the Children ha sollevato la questione di come condizioni di vita difficili possano scoraggiare in Italia le ambizioni di vita di molti giovani, con un danno per loro e per la società intera. Una volta identificato il problema, l’obiettivo è ora definire le politiche utili ad affrontarlo.

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