Da tanti anni Save the Children svolge una duplice azione di ricerca, informazione e adovcacy, per migliorare le condizioni di vita dei bambini e delle bambine in Italia. Da una parte, realizza Rapporti sui più diversi aspetti della condizione minorile; dall’altra, grazie a una miriade di progetti sul campo, compie una preziosa attività di ascolto dei bisogni calpestati. Questi due livelli di intervento si influenzano e si contaminano reciprocamente.
Ne è una testimonianza tangibile l’oggetto di ricerca del nuovo rapporto “Fare spazio alla crescita”, dedicato a uno dei temi più frequentemente evocati da ragazze e ragazzi nei percorsi di consultazione e di partecipazione. Una collezione di dati elaborati dai principali istituti di ricerca che conferma ancora una volta quanto i bambini abbiano a che fare oggi con orizzonti domestici, scolastici e territoriali angusti, che ostacolano, rallentano, a volte compromettono, le loro possibilità di crescita.
I dati assoluti riportati nel rapporto fanno impressione: è incredibile pensare che 4 minori su 10 debbano trascorrere gran parte del loro tempo in case sovraffollate e 1 su 10 in ambienti domestici insalubri; così come fa un certo effetto sapere che un’aula informatica o una palestra debbano costituire ancora oggi un miraggio per una larga maggioranza di alunni italiani, o che 3 studenti su 4 finiscano per ricorrere a un mezzo privato per raggiungere la scuola anche quando vivono all’interno di un’area urbana.
Alla base di questi deficit strutturali evidenziati dal rapporto vi sono ragioni diverse, a volte opposte: l’età considerevole di parte del nostro patrimonio abitativo; l’implosione delle politiche abitative negli ultimi trent’anni e l’assenza di manutenzione di tanta edilizia residenziale pubblica inaugurata una cinquantina, o anche meno, di anni fa; lo scarso ricorso allo strumento della pianificazione urbanistica e il dilagare dell’abusivismo edilizio in vaste aree del Paese; l’impoverimento crescente delle famiglie; i ritardi e le debolezze croniche delle politiche in favore della scuola; il progressivo e rapido decadimento di parte dell’edilizia scolastica, anche di quella più recente; la crisi diffusa dei servizi pubblici in tante aree del Paese; la propensione culturale degli italiani a spostarsi sulle quattro ruote, e via dicendo.
Il rapporto, tuttavia, non si limita a fornire medie nazionali, che nell’Italia dei campanili e dell’autonomia differenziata significano poco o niente. Nella tradizione di Save the Children, anche questa nuova ricerca ci invita a guardare più a fondo e meglio nella trama geografica e sociale del Paese, in questo caso nelle pieghe interne delle città metropolitane, regalandoci una seconda evidenza: in ragione della penuria cronica di decise politiche a sostegno dell’infanzia e delle famiglie con figli, nonché dell’accanimento della crisi del reddito sui lavoratori più giovani, una percentuale significativa di bambini e di ragazzi finisce per crescere nelle aree urbane dove il costo della casa è minore, spesso contrassegnate da una elevata concentrazione di fattori di rischio: bassi livelli di istruzione, alti livelli di disoccupazione, scarsità di servizi e di luoghi di aggregazione, scuole di frontiera segnate da livelli forsennati di turn over, dispersione scolastica, eccetera eccetera. Accade così che proprio le periferie sociali si vadano caratterizzando come le nuove città dei bambini e dei ragazzi.
Nel momento stesso in cui ci regalano queste importanti evidenze, le analisi territoriali di Save the Children hanno il merito di farci riflettere sui limiti intrinseci degli indicatori quantitativi fin qui sviluppati dagli istituti di statistica per raccontare il nostro Paese.
Di anno in anno si fa sempre più sentita l’esigenza di costruire nuove griglie di ricerca, quantitative e qualitative, a partire dall’esperienza vissuta dei bambini e dei ragazzi: ad esempio, a partire dall’idea stessa di spazio che esprime una generazione di nativi digitali uscita provata dalla stagione del distanziamento sociale e della reclusione forzata a casa. O, ancora, dalla declinazione del bisogno stesso di spazio nelle parole di ragazze e ragazzi dei quartieri difficili durante i percorsi di consultazione. Un bisogno urgente di ‘spazi fisici’ – per il gioco, la relazione, la socialità, lo sport, l’espressione – ma anche di ‘spazi mentali’ dove ricostruire quella fiducia nel futuro che in tanti lamentano di aver perduto.
Come sempre i bambini e le bambine hanno tanto da insegnarci. A maggior ragione in materia di spazio, una dimensione fondamentale della nostra esistenza che iniziamo a scoprire fin da piccolissimi con una serie di movimenti e di attività che ci segnano per la vita. Diceva Italo Calvino a Nico Orengo in un’intervista di cinquanta anni fa:
Quando eri bambino con che cosa e con chi giocavi?
Giocavo… con degli spazi, con degli ambienti. I giochi si dividono nei giochi che si fanno in un ambiente delimitato, per esempio un campo di football, e i giochi che si fanno al di fuori di un ambiente… È già un gioco fare un certo percorso. Per esempio: qual è il primo gioco che fa un bambino piccolo di tre, quattro anni quando lo portano al parco? Vede un muretto e vuole camminare sul muretto, tenuto per mano magari. Questa cosa del muretto in fondo mi è sempre rimasta.
Nico Orengo intervista Italo Calvino, in “Buonasera con… Calvino”, regia Vittorio Nevano. Rai Due, 5 giugno 1979.