di Vichi De Marchi*

La XIV edizione dellAtlante dell’Infanzia (a rischio) di Save the Children Italia l’abbiamo titolata Tempi digitali. Sono i tempi sospesi tra l’oggi e il domani a scrutare la Quarta Rivoluzione, segnata dagli algoritmi, da un’intelligenza artificiale generativa, da una capacità di calcolo strabiliante, da una robotica pervasiva. Come orientarsi? Con quali strumenti indagare l’infanzia nata nel secondo millennio? Il primo pensiero è stato rivolgersi a chi questa Rivoluzione l’ha (tra i primi) immaginata, a chi ha coniato il termine onlife per indicare le nostre vite vissute a cavallo tra reale e virtuale. Raggiungiamo il filosofo Luciano Floridi all’università di Yale, nel nuovo Centro sull’etica digitale che ha contribuito a fondare e che ora dirige. Ci parla da una stanza ancora ingombra di scatoloni e di operai, da un mondo realissimo, che possiamo percepire quasi fisicamente seguendo il ritmare dei colpi di martello. Ma – ci avverte Floridi – meglio non farsi ingannare. La vita onlife non è più 50 e 50, il virtuale ha preso il sopravvento, il reale dipende da esso, anche se non tutti se ne rendono ancora conto.

Navigare in questo mondo o chiamarsi fuori non è più, dunque, una scelta. Esserci è una necessità. Non esserci condanna all’esclusione, implica una sottrazione di opportunità, di linguaggi, di risorse, rischia di acuire le diseguaglianze materiali e culturali.  La scommessa, quindi, è come abitare il nuovo mondo con i suoi rischi e le sue opportunità.

Il primo e più ingombrate problema, che contiene molti dei rischi a cui sono esposti oggi bambini e adolescenti, è che il mondo digitale non è stato immaginato e costruito pensando a loro. Sono poche le regole che gli Stati e le istituzioni sovranazionali sono riuscite a imporre a un mercato che corre velocissimo, con tecnologie sempre più sofisticate e pervasive. Parlare di opportunità del digitale non significa annullare le differenze, gli stadi di sviluppo del bambino. Esporre troppo precocemente i bambini più piccoli agli schermi è un danno. Non trovare strumenti in grado di bloccare l’accesso ai social media di chi ha meno di 13 anni, come stabilisce la normativa attuale, espone a rischi che vanno eliminati. Non “educare” anche i genitori a un uso consapevole dei nuovi media, maneggiati spesso nella totale inconsapevolezza di esporre i propri figli a una “datificazione” massiccia, è un vulnus che colpisce i diritti dell’infanzia. Servono regole e serve una nuova “grammatica” che rispetti gli stadi di sviluppo dei più piccoli. Le cose non stanno, però, andando per il verso giusto. Si abbassa sempre di più l’età in cui si possiede o si usa uno smartphone tutti i giorni. Sui social media troviamo un’ampia fetta di pre-adolescenti che non ci dovrebbe essere; il 43% di chi ha tra gli 11 e i 13 anni. Più si abbassa l’età più si accresce l’esposizione a rischi non fronteggiabili, che diventano delle vere e proprie mine nel percorso di costruzione della propria identità. Un dato tra i tanti: l’aumento del cyberbullismo proprio nella fascia di età tra gli 11 e i 13 anni quando le ferite possono essere più profonde e gli strumenti di protezione molto fragili.

Quando usare gli strumenti digitali, quali usare, per fare cosa, per quanto tempo: servono regole condivise in famiglia. Esse, tra l’altro, aiutano il formarsi delle competenze digitali che non nascono in virtù del semplice uso degli strumenti. Tanto è vero che in Italia il 73 % dei bambini e degli adolescenti usa internet tutti i giorni, eppure sono quart’ultimi nella classifica europea delle “abilità” digitali, con ampi divari territoriali che ci parlano del digital divide, una nuova povertà materiale e immateriale, in un paese dalle infrastrutture deboli

Oggi il concetto di cittadinanza non può essere disgiunto da quello di cittadinanza digitale, dall’abitare i mondi virtuali con diritti, doveri e una propria voce. La scuola è il primo presidio, la naturale agenzia di formazione. Agli investimenti previsti dal Piano nazionale scuola digitale si sono aggiunti ora quelli del PNRR. Ma non bastano le attrezzature. Il mondo della scuola ci dice che serve la formazione degli insegnanti, connessioni veloci e affidabili, ambienti digitali attrezzati per una nuova didattica in un approccio olistico che è, anch’esso, una scommessa della Quarta Rivoluzione.

*Vichi De Marchi  – curatrice dell’Atlante dell’infanzia a rischio, è giornalista e scrittrice per ragazzi. I suoi libri sono pubblicati da Mondadori, Einaudi, Editoriale Scienza, De Agostini, Giunti. È stata portavoce per l’Italia dell’agenzia delle Nazioni Unite World Food Programme e direttrice del Comitato WE Women empower the World. Attualmente è membro dell’Advisory Board di Save the Children Italia.